“Allo stesso modo cerco il rumore celato nel silenzio, il movimento nell’immobilità, la vita nell’inanimato, l’infinito nel finito, le forme nel vuoto e me stesso nell’anonimato.” Joan Mirò
Qualcosa di ineluttabile si affaccia tra gli spiragli generati dal movimento della materia eletta per la creazione delle opere ibride del progetto Polimateriart, fusione sintonica di due personalità indistinte dalle grandi potenzialità comunicative. È la materia stessa a chiarire gli intenti dei due artisti, parlando in primo luogo attraverso la propria natura. Una sostanza come il vetro, incline per sua stessa vocazione al continuo cambiamento formale e strutturale, viene contrapposta a materiali rigidi e decontestualizzanti, che portano il lavoro finito verso un totale, loquace ed estraniante anonimato. L’incontro tra le materie suggerisce contrasti ineludibili, nell’arte come nella vita, conflitti insanabili sondabili solo attraverso fasi di lavoro progressive, che rammentino come la caducità umana sia condannata allo scontro con l’inevitabile, necessariamente greve, freddo, senza vita, fuggevole, ingannevole, a tratti assassino. Come davanti al perturbante, davanti alle opere forgiate dai due artisti romani lo spettatore può, esercitando il libero arbitrio, scegliere come comportarsi: osservare e limitandosi a passare oltre, oppure fermarsi ascoltando. In un muto dialogo a tre, l’artista (da definirsi così perché nel progetto artistico risulta impossibile scindere le due individualità, profondamente unite dall’intento concettuale) ascolta la materia canalizzandone le potenzialità evocative attraverso l’atto creativo, e l’osservatore ricava dall’opera finita un messaggio che parla di se stesso e della propria visione del mondo. Tra i risvolti di un impianto scultoreo narrativo e complesso il vero protagonista, l’essere umano, si svela nella sua totale e confusa precarietà, rispecchiandosi nel vetro, destinato a essere plasmato, inciso, frantumato, dimenticato. È la materia, attraverso una ricercata semplificazione formale, a stabilire il codice linguistico che, lasciando spazio alla capacità immaginativa, diviene universale, così come universale sono le domande che l’uomo si pone fin dal principio dei tempi. L’inserimento di elementi propri della vita quotidiana permette di indagare il rapporto dell’uomo con ciò che è reale, poiché è attraverso questo, a dispetto del progresso, che le persone comuni si confrontano con loro stesse, le proprie percezioni dell’ambiente circostante e la propria concezione del mondo. La scelta del materiale varia l’impressione dell’osservatore, suggestionandolo e smuovendolo dal contesto abituale e conosciuto. Gli artisti, attraverso il procedimento creativo e la sua successiva installazione, sembrano voler favorire un senso di smarrimento, pari a quello che ognuno può provare di fronte alle domande sulla vita destinate a rimanere insolute. Ciò che se ne ricava è un effetto che ha come conseguenza inevitabile una profonda riflessione sul significato dell’arte e sul suo linguaggio. Se per il filosofo Wittgenstein ogni strumento di cui l’uomo si può servire per raccontare l’universo è in grado di descrivere il mondo e tutto ciò che in esso accade, il duo artistico Polimateriart sembra intendere il linguaggio artistico come un punto di vista privilegiato per la comprensione della realtà e per lo studio della complessità della vita: la materia sostituisce il linguaggio comunemente inteso, spesso abusato, frainteso, sopravvalutato. Il procedere per contrasti rivela le potenzialità delle sostanze: la luce evoca l’ombra e mette in risalto sfumature anche metaforiche destinate altrimenti a essere ignorate, equivocate, sorvolate. Reagendo alla solitudine verbale e concettuale attraverso un radicale cambiamento di prospettiva, che simbolicamente può bene essere paragonato a una proiezione di una luce differente su una superficie conosciuta cui si voglia conferire un aspetto nuovo, Damiano di Pietro e Alessandro Monti Liotti si confrontano direttamente con la materia, evidenziandone tramite un approccio colto e concettuale l’attitudine a preservare la sostanza del mondo. Gli artisti sembrano non sottrarsi all’invito che lo scultore Modigliani rivolgeva all’amico Ghiglia quando scriveva: “Il tuo dovere reale è di salvare il tuo sogno. La Bellezza ha anche dei doveri dolorosi: essi creano però i più belli sforzi dell’anima.” La vera comprensione dei significati profondi, sembra dirci l’esperimento Polimateriart, passa dalla vera contemplazione della natura, dalla rielaborazione artistica del proprio vissuto e delle proprie emozioni profonde, dalla capacità di accettare il vuoto e il silenzio come veri e propri elementi costitutivi. Tutto si riduce all’essenzialità, alla rivelazione del presente, all’anonimato: elementi che, forieri di un linguaggio dalle possibilità universali, per loro stessa natura si rivelano senza tempo e senza luogo.