“Il viaggio non finisce, soltanto i viaggiatori finiscono.” Saramago
Il viaggio di Giuliano Giuggioli è un viaggio senza inizio né fine, senza direzione né meta, senza passato né futuro. È un viaggio che esiste perché esiste l’uomo e la naturale inclinazione del suo spirito verso la ricerca, che fin dall’origine dei tempi lo spinge a oltrepassare i confini materiali e immateriali per confrontarsi con la natura del proprio tempo e con il suo principale antagonista: sé stesso. La testimonianza del viaggio ha permesso nei secoli di tracciare mappe fisiche e mentali alla scoperta di nuovi mondi e nuove forme di pensiero e di concepire spazi esteriori e interiori dei quali non si pensava di poter indagare le frontiere. Oltrepassare le colonne d’Ercole per addentrarsi in quegli oscuri territori ove Hic sunt leones, dove alberga lo spettro brumoso dell’ignoto, resta appannaggio dell’Eroe che, impavido, voglia – o necessariamente debba –solcare quei simbolici mari il cui familiare eco funga da richiamo interiore. La dimensione del viaggio accomuna grandi anime, siano esse realmente esistite o nate dalla più alta letteratura: da Achab a Ferdinando Magellano, da Gulliver e Robinson Crusoe al Capitano Shackelton e Amelia Earhart, da Ulisse a David Livingstone. Il superamento dei propri limiti mentali prima ancora di quelli fisici, sembra essere il fil rouge che unisce le figure dei grandi pionieri, tanto da indurci a pensare che l’immaginazione sia il vero motore del mondo. Quello di Giuliano Giuggioli è, al pari di quello di Salgari, un viaggio anzitutto immaginario, in cui la consapevolezza della propria presenza all’interno del proprio tempo gioca un ruolo fondamentale. Se, come sostiene Saramago, la maggior parte di noi è una massa di ciechi che pur vedendo non vedono, la pittura di un artista visionario può portarci a ricordare, riconoscere e imprimere nella nostra mente emozioni e sensazioni primarie che ci ricongiungano con la nostra natura più profonda. Le opere realizzate per la mostra “Il viaggio”, ambientate in un hic et nunc intimo, delicato e onirico, preparano ad affrontare la vita così come una madre amorevole che insegni a preparare il bagaglio per una partenza, invitano a prendere coscienza dello spazio e del tempo, traducono in immagine l’esperienza umana. I simboli di cui Giuggoli si avvale permettono l’elaborazione di un linguaggio universale, fruibile da modelli culturali diversi, caratterizzato da una sintesi formale che, per sua stessa natura, rivela un’innata immediatezza comunicativa. Scenari onirici ed enigmatici accolgono velivoli, treni e imbarcazioni solo in apparenza destinati all’immobilità, i cui motori accesi, alimentati dalla capacità immaginativa, attendono con fiducia una nuova partenza. In un’atmosfera carica di sospensione, silenzio e staticità, l’attesa si rivela carica di speranza, travalicando la realtà sensibile per giungere oltre l’apparenza fisica, dove trova casa l’essenza più intima della realtà. Ciò che si aspetta è ignoto, ignota la meta; tuttavia non si tratta di un’attesa vana come quella di Vladimiro ed Estragone, ma di una tensione dello spirito carica di possibilità in nuce. Colti e velati echi pittorici riferibili agli autori del Rinascimento o alla pittura simbolista ottocentesca di Böcklin sfumano in una personale cifra stilistica di cui l’armonia compositiva e l’allenamento alla meraviglia sembrano essere i cardini portanti. L’impossibile può così, in modo concettualmente affine a Duchamp, rientrare in una scatola di cartone, che Giuggioli trasforma in una porta sull’altrove; gli oggetti perdono l’originaria funzione di contenitore, per divenire pretesti di poesia, varchi sull’interiorità. Una pittura automatica e decisa traccia le linee di una complessa geografia interiore, i cui simboli diventano coordinate su una mappa a tutti comprensibile, perché la materia trattata altro non è che la natura stessa della vita. Per via di levare, attraverso una chiarezza formale di innegabile lettura, Giuliano Giuggioli pone le fondamenta per la vera comprensione dell’animo umano.