Andrea Marchesini

Davanti al percorso artistico di Andrea Marchesini, la mente di chi osserva rimane inevitabilmente impressionata da una sorta di progressione che, mantenendo un quasi invisibile e saldissimo fil rouge contenutistico, muta allo sguardo nelle forme pur rimanendo fedele a se stessa. Il continuo cambiamento, indiscutibile indizio di ricerca profonda, evidenzia una perspicace capacità narrativa capace di adeguarsi al tempo e alle trasformazioni che questo porta con sé.

Stratificazioni materiche rimandano a piani di memoria che sembrano trattenere e rielaborare un vissuto fatto di un ininterrotto e instancabile legame con l’arte, la cui dimensione spirituale e privilegiata condizioni l’uomo e l’artista. Nel passaggio tra un fare materico e una dimensione fluida, pare esistere un continuum temporale che tenga conto della necessità di una persistente rinascita: che la vita sia plasmata o emerga spontaneamente non importa, purché essa avvenga, sia risveglio, sia consapevole. Per fare sì che questo accada, è sempre necessaria un’azione: action. Un’eco lontana dell’action painting, dove non solo si palesi il movimento delle figure delineate sulla tela, ma sia primario il gesto di chi la tela incontra, scontra, vive. L’animo di Andrea Marchesini è un costante crogiuolo, un fermento di idee in ebollizione da cui, ogni volta che egli mette mano a una nuova opera, una composizione emerge, viene isolata e poi raffigurata. In una sorta di procedimento alchemico, l’artista opera incessantemente sulla materia e su se stesso. Prendono vita, le opere di Marchesini, da un sostrato culturale ampio, complesso e ben radicato che, attraverso figure archetipiche, narra il continuo cammino dell’umanità alla ricerca di un equilibrio perennemente instabile.

Ricerca che è, tuttavia, piena e personale, pur nel rispetto dei maestri cui il suo inconscio sembra volere rendere omaggio: artisti contemporanei, come Basquiat, Haring, Mirò, Ensor, destinati a sovrapporsi in un impianto visivo contemporaneo con influssi derivanti da fiamminghi quattrocenteschi e anonimi primitivi, per un risultato che ha in sé una immediatezza comunicativa in grado di raggiungere prima l’anima e poi l’intelletto di chi guarda. Un’evidente predilezione per la cultura inglese metropolitana traspare tanto dalla gestualità spontanea e dall’espressività delle forme, quanto dalle vibrazioni tonali che rivelano un vero e proprio tumulto interiore ben canalizzato. Nel porre e togliere strati di colore sulla tela, Marchesini rivela un incessante lavoro sulla sua interiorità, vero e proprio palcoscenico intimo di un confronto-scontro con la materia e il contenuto dell’arte, che pur nella sua realizzazione del tutto contemporanea dal punto di vista stilistico, si rivela antica e primordiale nella volontà e nel procedimento.

Ogni volta che Marchesini affronta una nuova tela è come se fosse la prima volta, o l’ultima. Obbedisce alla propria urgenza espressiva con rigore e determinazione, non potendo sottrarsi a un atto che sembra mantenere la necessità e l’inconsapevolezza del respiro. Il fluire stesso delle composizioni rivela la delicatezza di una gestualità consolidata dalla pratica svolta da anni con disciplina e rigore, in cui il movimento centripeto assume una particolare valenza: esso è un invito a guardarsi dentro, a oltrepassare lo specchio delle apparenze per giungere in silenzio al nucleo della verità. Allo sguardo indagatore, figure di astanti inconsapevoli paiono guardiani apotropaici, che difendono e nel contempo palesano la presenza di un Mistero ancora tutto da vagliare. Chi non ha ancora un volto, pure non ha più una maschera. La ricerca dell’identità, cardine dell’operare di Marchesini, lo rende un abile funambolo capace di rimanere in equilibrio sul sottile filo teso tra realtà e immaginazione.