L’iconografia del passo: il viaggio melanconico di Guido Siviero
“Determina questi oggetti, a volte, la mera simultaneità; alcuni si compongono di due termini, uno di carattere visivo e uno di carattere uditivo: il colore del giorno nascente ed il grido remoto di un uccello; altri di più termini: il sole e l’acqua contro il petto del nuotatore, il vago rosa tremulo che si vede con gli occhi chiusi, la sensazione di chi si lascia portare da un fiume e, nello stesso tempo, dal sogno”. J.L. Borges, Finzioni
La vita scorre troppo in fretta, a volte. Si ha l’impressione che serva un po’ di tempo per afferrarla, che sia necessaria una ripresa lenta, come nei vecchi film in bianco e nero. I particolari tendono a sfuggire a chi si muova in un’inquieta quotidianità, mentre per alcuni artisti paiono essere più importanti del resto.
Fin dall’antichità, l’importanza attribuita al dettaglio ha determinato la possibilità di individuare stati d’animo, emozioni, identità, tradizioni culturali. Il rimando all’antica iconografia, davanti alle opere di Guido Siviero, appare immediato. Lo studio della remota abilità di riconoscere il soggetto da un attributo, sia esso un fiore, un animale, un copricapo, una veste, insegna come nel Medioevo si potesse leggere senza saper leggere. In quel tempo una mano con il palmo in alto indicava accettazione, la mano portata al petto paura, i piedi che uscivano da un bordo, in un errore solo apparente, l’arrivo o la partenza.
AI pari di antichi sconosciuti, Siviero si muove in un universo di immagini simboliche, in cui il particolare determina il significato recondito dell’immagine. Siviero sottopone all’attenzione dello spettatore una riflessione sul movimento, che è riverbero e allegoria di un percorso interiore. L’indagine attenta, compiuta attraverso la fotografia, fissa in un istante il passo, tema caro all’artista, che con il viaggio ha un legame profondo e personale. Dalla propria quotidianità, Siviero estrae con pazienza elementi atti all’elaborazione di una poetica originale, in cui l’iconografia del piede assume un significato del tutto nuovo, che pure sembra rimandare a quello delle antiche miniature, in cui la posizione dei piedi indicava moto o staticità. Di qui l’intuizione dello spettatore, che ha l’impressione di trovarsi in un contesto già vissuto, come se potesse leggere e comprendere un linguaggio senza conoscerlo.
Interrogandosi sul significato del passo, Siviero propone una rivisitazione della realtà, che acquista contorni sfumati come quelli di un sogno, in una visione soggettiva che pure, distaccata o emozionata che sia, coinvolge l’osservatore in una finzione, rimandandogli la propria limitata esperienza, invitandolo a destreggiarsi tra una grafia sconosciuta e una sensazione di familiarità. In questo modo, Siviero elabora il proprio mondo artistico, essenziale, onirico ed elegante, fatto di immagini i cui elementi ripetuti sembrano ricondurre ad uno solo, che riporta alla mente le parole di Borges ‘Vi sono poemi famosi composti d’ una sola enorme parola. Questa parola corrisponde a un solo oggetto, l’oggetto poetico creato dall’autore’. Questa parola, per Siviero è il passo, e la fotografia il suo canto poetico.